Alle elezioni legislative del 10 marzo 2024 la coalizione di centrodestra portoghese vince di misura sul centrosinistra. Ma la vera novità è il successo del partito di estrema destra che rende gli scenari politici futuri molto più complessi.
Più di 10 milioni di elettori portoghesi sono stati chiamati alle urne lo scorso 10 marzo per eleggere i 230 deputati del Parlamento nazionale monocamerale.
I risultati del voto danno una maggioranza relativa ad Alleanza democratica (29,4%), una coalizione di centrodestra composta dal Partito socialdemocratico (Psd), dal Centro sociale democratico (Cds-Pp), partito di ispirazione popolare e democristiana, e da una terza formazione, il piccolo Partito popolare monarchico (Ppm).
Il vantaggio sui socialisti, arrivati secondi con il 28,6%, è al momento ridotto a due soli seggi. Quindi, tecnicamente, non si tratterebbe nemmeno di un vantaggio definitivo, visto che bisognerà attendere il 20 marzo per il risultato del voto all’estero, in base al quale saranno eletti ancora quattro deputati. È comunque alta la probabilità che l’incarico di formare il nuovo governo venga dato a Luís Montenegro, leader di Ad e presidente del Partito socialdemocratico (che in Portogallo è un partito di centrodestra facente parte della famiglia del Partito popolare europeo insieme al Pp spagnolo, alla Cdu tedesca e a Forza Italia).
La grande novità di queste elezioni, però, è l’exploit di Chega, un partito che possiamo definire estremista, populista, sovranista. Chega! (il cui nome andrebbe scritto sempre con il punto esclamativo e che in portoghese significa “basta”) è stato in pochi anni il protagonista di un’ascesa fulminante. Fondato nel 2019 da André Ventura, un ex socialdemocratico noto a un certo pubblico televisivo come commentatore calcistico, quello stesso anno ha eletto in Parlamento il suo fondatore come deputato unico. Nel 2022 ha ottenuto il 7% e 12 seggi, mentre domenica scorsa ha ottenuto il 18% e ben 48 seggi.
Il dilemma della destra tradizionale
Nella lunga notte elettorale del 10 marzo, mentre proseguiva il testa a testa fra Ad e Ps, il leader dei socialisti Pedro Nuno Santos ha riconosciuto la sconfitta con una celerità che ha perfino sorpreso qualche opinionista. Certamente il suo partito, al governo dal 2015 e forte di una maggioranza assoluta del 41% ottenuta nel 2022, ha subito un tracollo. Ma la vittoria di Luís Montenegro – che in campagna elettorale, rispondendo alle pressanti domande di giornalisti e avversari politici, aveva promesso che non avrebbe governato con l’estrema destra – è una vittoria zoppa che ha assoluto bisogno di una stampella. Pedro Nuno Santos, però, ha messo subito le cose in chiaro: i socialisti non voteranno una mozione di sfiducia a un eventuale governo minoritario, ma faranno opposizione.
In Portogallo è possibile, in mancanza di un’esplicita mozione di sfiducia, che si insedi un governo minoritario. Ma per farsi approvare le leggi in Parlamento è necessario andarsi a cercare i voti volta per volta. Se anche non cadesse prima, ci sarebbe sempre, in autunno, la legge di Bilancio, ossia l’importante manovra finanziaria in cui un governo stabilisce come, con quali tagli o aumenti di spesa, finanzierà la sua politica per l’anno successivo. Nessun partito può superare lo scoglio autunnale senza una solida maggioranza parlamentare. Alleato naturale di Alleanza democratica sarebbe il piccolo partito Iniziativa liberale (Il), ma i suoi otto deputati difficilmente farebbero la differenza. Che fare? Rimangiarsi la promessa e governare con l’estrema destra, magari in cambio di una moderazione più o meno di facciata? In Portogallo, naturalmente, tutti sanno che da tempo i venti dell’estrema destra soffiano in tutta Europa (e non solo). Conoscono lo sbarramento che i partiti tradizionali hanno sempre opposto alla destra radicale in Germania e in Francia, mentre osservano anche i più laschi sbarramenti fra le destre italiane, dove Forza Italia da sempre governa in coalizione con i postfascisti e con la Lega, partito xenofobo. Giova fra l’altro ricordare che Chega ha scelto come famiglia politica europea proprio quel gruppo Identità e democrazia di cui fanno parte la Lega, il Rassemblement national di Marine Le Pen e Alternativa per la Germania, gruppo di estrema destra che spesso finisce sotto l’occhio vigile dei servizi segreti tedeschi che si occupano della difesa della Costituzione.
Solo nelle prossime settimane, forse mesi, capiremo che tipo di evoluzione si avrà nella politica portoghese, dove per la prima volta abbiamo un panorama politico così frammentato e apparentemente privo di agganci utili al dialogo.
Il conflitto tra poteri dello Stato
Un’occhiata alle date degli appuntamenti elettorali citati fin qui rende forse doveroso un breve riassunto delle puntate precedenti. Se in Portogallo si è votato nel 2019 (data di ingresso di Chega in Parlamento), perché si è votato anche nel 2022 e nel 2024?
Le elezioni dell’autunno 2019 seguivano la scadenza naturale di quella legislatura. Il Ps, che era al governo dal 2015 con il primo ministro António Costa e aveva fin lì governato con il sostegno esterno dei partiti della sinistra radicale (Pcp, Verdi e Blocco di sinistra), vinse con il 36,3% e formò appunto un nuovo governo di minoranza, stavolta senza un esplicito accordo di cooperazione a sinistra. Le cose andarono come nello scenario illustrato precedentemente: la Finanziaria presentata nell’autunno del 2021 non trovò il necessario sostegno in Aula e quel governo cadde. Alle legislative del 30 gennaio 2022, però, l’elettorato premiò Costa e il Ps dandogli la maggioranza assoluta.
Eppure, quello che sembrava l’esecutivo più solido degli ultimi anni è caduto il 7 novembre scorso a causa di un’inchiesta giudiziaria che ha spinto António Costa a dimettersi. Ciò apre un discorso complesso attorno alla necessità di controllo da parte del potere giudiziario sugli organi del potere legislativo (parlamento) ed esecutivo (governo), ma anche sull’effetto devastante che può avere sulla politica il potere tanto della magistratura come dei media (i quali amplificano l’eco delle indagini), che non siano a loro volta seriamente regolati. L’inchiesta che ha fatto cadere l’ultimo governo Costa e ha portato alla difficile situazione politica attuale è tutt’altro che chiusa e meriterebbe un approfondimento a parte, anche per i risvolti che presenta sul piano della politica ambientale (riguardava appalti legati alla transizione digitale ed ecologica). Bisogna tuttavia dire che una parte di quelle ipotesi di reato sono state al momento respinte dallo stesso giudice istruttore, che le ha esaminate pochi giorni dopo l’esplosione ormai irreversibile della crisi politico-istituzionale.
Capita spesso che la giusta aspirazione a vivere in una società onesta e rispettosa delle leggi si trasformi, dinanzi ai complicati meccanismi con cui si realizza sia l’operato politico che quello giudiziario, in una frustrazione rabbiosa che allontana gli elettori delusi dalla complessità democratica, spingendoli verso quello che gli analisti finiscono per bollare come “voto di protesta”.