Se pensate che il “Metaverso” sia un’invenzione di Mark Zuckerberg e della sua azienda “Meta”, sappiate che è una fake news.
Era il 1992 quando Neal Stephenson coniò la parola “Metaverso” in Snow Crask, uno dei romanzi più iconici della letteratura cyberpunk. Il Metaverso di Stephenson è una “strada (che) sembra un grande viale che segna la circonferenza massima di una sfera nera di raggio appena superiore ai diecimila chilometri. In tutto fa 65.536 chilometri, molto più lunga della circonferenza massima della Terra”.
È un mondo virtuale ma reale: si trova “in un universo generato dal computer” che Hiro, il protagonista di Snow Crash, percorre grazie al fatto che “la macchina” lo disegna “sui suoi occhialoni” e lo pompa nei suoi auricolari”. Questo “luogo immaginario chiamato Metaverso” è un universo costruito a immagine e somiglianza del mondo fisico: anche nel Metaverso le imprese devono chiedere i permessi per costruire strade e città e c’è anche la burocrazia come struttura sociale e la corruzione come devianza, la proprietà privata e quella pubblica, le classi sociali, la povertà e la ricchezza.
Povertà e ricchezza, nel Metaverso di Stephenson, dipendono dalla possibilità degli utenti di accedere o meno a tecnologie e software più o meno potenti. Chi ha soldi (cioè tecnologie e software) può colonizzare il “nuovo mondo”, costruendo città, fatte di quartieri e strade e case abitate da persone: “Le persone – scrive Stephenson” sono dei software detti avatar, ossia “corpi audiovisivi” attraverso i quali le persone possono interagire nel metaverso con altri avatar che sono i simulacri di altre persone. Anche il termine avatar è frutto della mente immaginifica di Stephenson: è infatti un suo neologismo. Come nella realtà, gli avatar saranno una rappresentazione delle classi sociali a cui appartengono le persone “fisiche”: chi ha più soldi può permettersi avatar ad alta definizione, mentre i simulacri delle persone meno abbienti saranno in bianco e nero e a bassa risoluzione. Potremmo dire, dunque, che anche il digital divide è già teorizzato in Crash Snow.
Quasi trent’anni dopo l’uscita di quello che per la letteratura cyberpunk è considerato una pietra miliare, Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, lancia il suo progetto di Metaverso. È il 28 ottobre 2021 e in una lettera lancia la sua idea di “embodied internet”: un internet fatto carne che vive “sui” corpi degli utenti e “attraverso” i corpi degli utenti: “the next platform will be even more immersive – an embodied internet where you’re in the experience, not just looking at it. We call this the metaverse, and it will touch every product we build”.
Da quel momento, il Metaverso fa un’entrata trionfale nelle vite e nell’immaginario di tutti noi.
Il nostro Metaverso quotidiano
In verità prima che Zuckerberg lanciasse il suo nuovo brand “Meta” ragazzi ed adulti avevano avuto a che fare con il Metaverso senza chiamarlo in questo modo e senza accorgersene.
I giochi di ruolo, i cosiddetti MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-Playing Game), Second Life, Active Worlds possono essere considerati dei protometaversi..
Il protometaverso Fortnite è abitato da più di 350 milioni di utenti registrati, di cui il 35% donne.
Proprio come Hiro in Snow crash, i giocatori di Fortnite indossano skins dopo averle comprate: ci sono skins per ogni possibilità economica ma chi ha più soldi può abitare il mondo di Fortnite divertendosi molto di più e avendo molte più possibilità di vivere a lungo, proprio come nel mondo fisico.
Ma, per fare solo un esempio, abitiamo il Metaverso anche noi, ogni volta che ordiniamo una pizza take away tramite un’app di delivery, oppure ogni volta che acquistiamo on line un libro o quando paghiamo le tasse on line. Tutte queste transazioni presuppongono l’utilizzo della cosiddetta blockchain, una tecnologia che rappresenta un vero e proprio Metaverso dove le transazioni on line sono al sicuro da ogni attacco hacker.
E ancora, abitano il Metaverso gli NFT, opere uniche originali che potrebbero essere definite opere d’arte e noi stessi diventiamo “abitanti” del Metaverso ogni volta che accediamo a funzionalità peer-to-peer usufruire per esempio dei servizi di richiesta e concessione prestiti, servizi assicurativi, di logistica e, ovviamente, i giochi e le scommesse on line. Il Metaverso è un ecosistema ipermediale sincrono e persistente, abitato da corpi mediali in network, facilitato da device (VR e AR) connessi ma oggi è così dissimulato che spesso non ci accorgiamo neanche di avere lì, molte volte durante la giornata, la nostra residenza.
Per un Metaverso equo
In Snow Crash il Metaverso è abitato da poveri e ricchi, facilmente identificabili dal modo in cui sono vestiti, ossia dai loro avatar.
Già oggi, nei nostri “Metaversi quotidiani”, la tecnologia può rappresentare un fattore di discriminazione intersezionale: bisogna possederla per poter accedere ai servizi nel Metaverso e bisogna saperla usare.
Ovvero:
- bisogna avere i soldi per poterla possedere;
- bisogna collegarsi ad una rete ultra veloce, dunque bisogna abitare nella parte di Mondo connesso;
- bisogna avere le competenze e/o l’istruzione per poterla utilizzare; bisogna avere le abilità;
- bisogna essere relativamente giovani (le persone anziane hanno maggiori difficoltà ad orientarsi negli ecosistemi digitali).
Il timore è che si stiano costruendo Metaversi, tutti, a misura di uomini, giovani, bianchi, occidentali, ricchi, abili, andando a replicare la brutta copia di un mondo ingiusto ed escludente, razzista, patriarcale.
Sono in molti a porsi il problema, in primis Unesco, di come fare perché si possa, tutti insieme, costruire un Metaverso che non si porti dietro le ferite del mondo fisico, generandone di nuove.
Secondo Unesco nel 2030 circa 700 milioni di persone “risiederanno” nel Metaverso e i rischi legati alla discriminazione di persone non occidentali, donne, appartenenti alle comunità LGBT+, sono significativi.
Si potrebbero verificare episodi di razzismo sistematico, microaggressioni, creazione e diffusione di contenuti razzisti, episodi di omo-lesbo-transfobia, l’espulsione dai gruppi di individui in base alla loro identità di genere o in base al loro orientamento sessuale. Il rischio marginalizzazione riguarda anche le donne, che potrebbero essere esposte a violenza di genere (sono già stati registrati casi di stupro virtuale su avatar di donne), ed essere ingabbiate in stereotipi frutto di una cultura patriarcale di cui potrebbe essere intriso anche il Metaverso.
La questione è stata analizzata al World Economic Forum di Davos nel 2022 e nel 2023, ma è stata sottovalutata da Meta, che per il tramite di Chris Cox, Chief Product Officer del colosso di Zuckerberg, ha definito il metaverso come “una mera evoluzione tecnica di Internet”, in questo modo minimizzando se non ignorando l’impatto sociale di questo nuovo ecosistema massmediale. Invece, secondo alcuni antropologi digitali, massmediologi e sociologi, il Metaverso plasmerà nuove norme e standard sociali, per questo deve essere costruito e regolamentato in maniera etica.
Quello che oggi sappiamo è che il Metaverso potrebbe produrre più informazione ma anche aumentare il rischio di disinformazione:
- i bambini dovranno essere protetti ancora di più dal rischio di incappare in contenuti inappropriati;
- le discriminazioni e le disuguaglianze potrebbero aumentare e diversificarsi o amplificarsi nel mondo virtuale;
- avremo molte più occasioni di socializzazione ma le fasce fragili della popolazione saranno più esposte alla solitudine sia fisica sia virtuale.
Per questo la Commissione europea l’11 luglio scorso ha inviato al Parlamento una comunicazione per una “strategia” sui mondi virtuali, denominata “strategia per il Metaverso”, in cui si tracciano le linee da seguire per costruire mondi virtuali sicuri, giusti, equi.
La visione è tracciata, ma la strada è imbattuta. La sfida è aperta e riguarda tutti noi.