“Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio” (1980) segnò il debutto commerciale del premiato Pedro Almodóvar, divenuto famoso per la scena iconica della doccia dorata, suscitando controverso dibattito sui valori predominanti dell’epoca. Come ha fatto Almodóvar, dopo questo episodio, a guadagnarsi una reputazione nell’establishment?
La sociologia delle “cloache” spagnole non sarebbe stata compresa senza i contributi cinematografici del regista, riconosciuto per avere un buon fiuto nel promuovere nuove icone: le “ragazze di Almodóvar” – includiamo in questa categoria anche Antonio Banderas – e i suoi film – sia nel contenuto che nella forma – sono senza dubbio parte della moodboard spagnola. L’immaginario di Almodóvar è un punto di riferimento nella rappresentazione della società spagnola – marginale, borghese, LGBTIQ+, folcloristica e, in generale, diversificata -, oltre ad essere un’icona dell’estetica della Spagna più costumbrista. Questa esaltazione di cose comunemente nascoste nel mondo sotterraneo e nei sobborghi è anche l’idea alla base di ciò che è noto come “cine quinqui” (cioè “cinema della delinquenza”).
Film iconici come “Yo, El Vaquilla”, “Historias del Kronen” o “La estanquera de Vallecas” contribuiscono a ricostruire la storia della Spagna post-transizione, quella del caballo o del cavallo e della delinquenza come risposta alla precarietà. L’ultimo film menzionato proviene da una delle figure di spicco del genere: Eloy de la Iglesia. Anche se l’immaginario della prima fase di Almodóvar e la filmografia di Eloy de la Iglesia non sembrano essere molto diversi nei temi trattati, un certo fattore ha condizionato il fatto che uno abbia vinto due Oscar e l’altro sia finito agganciato al mondo dell’eroina e cancellato dalla mappa della storia ufficiale.
I ratti emersi dalle fogne
Esiste un parallelo tra quella generazione emarginata e precaria, spinta nell’abisso della delinquenza e della droga, e la generazione di oggi? La crescita dell’universo “neo-quinqui” – vedi il trionfo del trap – attraversa ora tutti gli strati della società – ancora una volta, in un contesto di precarietà.
Nel cinema, il regista Carlos Salado ha scelto come protagonista Ramon Guerrero (alias “el Cristo”), un muratore della Colonia Requena, un quartiere precario di Alicante – il luogo dove è stato girato il film – e lo ha trasformato in quello che Almodóvar chiamerebbe Antonio Banderas. “Criando ratas” è il lungometraggio di debutto di Salado – che ha dovuto interrompere le riprese del film quando el Cristo è finito in prigione – e racconta una storia incentrata sul microcosmo di questa periferia; ma non nella Spagna degli anni ’80, bensì nella Spagna di oggi. Il regista ha ideato uno spin-off del film e ha mantenuto il personaggio di el Cristo, solo che questa volta con una nuova co-star: Fernando Gálvez alias Yung Beef. Il cortometraggio risultante – “Mala Ruina” – includeva la colonna sonora composta e prodotta dal rapper di Granada. A sua volta, nello stesso anno, Pedro Almodóvar ha deciso di dare a Rosalía un ruolo – secondario ma essenziale nel suo contributo musicale – nel suo lungometraggio, Dolor y Gloria (2019).
Proprio come, all’epoca, una giovane e irriverente Alaska fu scritturata da un Almodóvar ribelle per il ruolo di Bom, i flirt tra correnti cinematografiche e musicali che rappresentano una serie di valori simili – il cinema underground che si avvale di musicisti underground, il cinema mainstream che si avvale di musicisti mainstream – sono ancora molto vivi. In questo caso, troviamo i due principali paradigmi esposti in un’unica immagine: un progetto autogestito, con un budget molto limitato e un cast molto marginale, firma il rappresentante di questi valori nel contesto musicale – binomio Salado – Yung Beef. D’altra parte, troviamo un progetto d’autore con il sostegno di una casa di produzione, di grande prestigio e di un posto comodo nell’industria, che firma un riferimento della stessa scena.
“Che Dio salvi l’underground”
Una delle idee che circonda “Como acabar con la contracultura” di Jordi Costa è la minaccia costante del mainstream e la capacità inesauribile del sistema di riorientare qualsiasi minaccia socio-culturale che ponga una sfida al sistema. È proprio il libro di Costa che fa un cameo – elegantemente intenzionale da parte di Almodóvar – in “Dolor y Gloria”, apparendo sul tavolo di Salvador Mallo (il regista interpretato da Antonio Banderas).
Proprio come il sistema è stato in grado di neutralizzare i referenti inizialmente underground dandogli una “vita piena” nell’élite, è stato anche il primo a relegare nell’oblio coloro che hanno resistito. Ecco perché c’è ancora un dibattito su se il trap sia rivendicativo o l’espressione ultima del capitalismo. La storia si ripete: alcuni finiranno nel seno dell’aristocrazia mediatica e altri saranno messi all’angolo a loro comodo, strappando la pelle al discorso in modo che finisca per essere privo di significato.
Dalla “mullet” quinqui alla “mullet” moderna
Su questa linea, le case di produzione hanno trovato una vena nell’adozione di narrazioni dissidenti senza correre rischi: introducono certe sfumature suppostamente trasgressive, ma senza oltrepassare la linea della rottura. Nel 2021, Netflix ha speso sette milioni di euro per girare il film “Las leyes de la frontera”, un film con un’aria quinqui con una sceneggiatura tratta dal libro omonimo di Javier Cercas. La trama si basa sulla storia di tre giovani piccoli criminali in fuga a Girona